среда, июня 20, 2007

Autostop

Mi metto a volte nei panni di chi guida solitario per strade solitarie, a bordo di una fiat panda, o di un'audi, o di un'apecar, o di un camion a rimorchio. Mi immagino di scorgere da lontano, sul ciglio della strada, un autostoppista (solitario quanto me alla guida sulla strada solitaria), visibile come un monumento lontano, come un silos per le granaglie. Cercherei di squadrarlo lentamente mentre mi avvicino, di spogliarmelo e rigirarmelo nella mente con anticipo, innestare le quattro frecce, accostare, abbassare il finestrino e chiedere in che direzione è diretto per poi dirgli ruvidamente "Monta su".

C'era quel Ljoscha di Pushkin, che ascoltava musica trance, a cui tradussi le parole di White Rabbit dei Jefferson Airplane (...one pill makes you larger, and one pill makes you small, and the one that mother gives you doesn't do anything at all...), che strinse poi amicizia con Maksim, alla fine gli lasciai un disegno sul sedile posteriore prima che ci abbandonasse ad una stazione deserta.
E Quello che ci caricò lungo una stradina sterrata in mezzo ai boschi, stupito del fatto che noi così tranquillamente stavamo attraversando una ex zona militare del KGB, inconsapevoli dei pericoli...
Poi quel Furgonista (armeno o kazakistano e chi lo sa?) con braccia incredibilmente pelose, alla guida di un furgoncino bianco, che si fermò, sì, ma a 100 metri più avanti, apparentemente per sistemare il furgone, ci ignorava del tutto, puliva il vetro con esagerata precisione, e noi che lo aiutavamo pure in silenzio, temporeggiava e gettava rapide occhiate a noi e ai nostri zaini polverosi, e poi anche quando finalmente si decise a rimettersi sulla strada con noi a bordo, senza dire una parola, non ci chiese nulla, accese l'autoradio e ci posteggiò nella buia periferia di una cittadina bielorussa.
E mi disse "montasù" anche Manuel, col quale ora siamo diventati amici e ci vediamo ogni volta che io mi avventuro per i colli bolognesi, ogni volta lui si finge di nuovo autistapercaso ed io autostoppista.
C'è stato, recentemente, un Bengalese Lillipuziano, che guidava col sedile attaccato al volante, che si fermò a raccattare me e Fresca amica mia in zona Lazzeretto quando ormai avevamo perso l'ultimo bus di mezzanotte e mezza.
Ma i migliori sono stati gli Elfi Bresciani, alla guida della loro casetta sulle ruote, Simone e Chiara avevano uno sguardo incredibilmente penetrante pur nella sua trascendente vaghezza, lo sguardo appunto di chi è appena tornato da un viaggio in India, come loro. Ci perdemmo dopo i primi 500 metri, forse colpa del chiloom acceso in nome della fratellanza di tutti i popoli.

Gente che aiuta, senza fartelo pesare, e a cui tu a malapena riesci a dire grazie. Situazioni in cui le parole non servono, perchè una sola piccola azione ha già creato da sola un legame fortissimo tra solitari Esseri in viaggio.


Non vi consiglio On the road di Jack Kerouac, perchè mi ha fatto così schifo che l'ho lasciato a pagina 50.
Leggete piuttosto Under the skin di Michel Faber, la storia di una certa Isserley che guida per le strade deserte delle Highlands scozzesi a caccia di autostoppisti maschi...